Oggi, 2 novembre 2025, la Corte di Cassazione ha scritto la parola fine su un’importante battaglia legale legata a uno dei più clamorosi casi di ludopatia e truffa degli ultimi anni. Il Casinò di Venezia dovrà pagare una sanzione di circa 250.000 euro per non aver vigilato adeguatamente su Silvio Vannini, il broker finanziario che tra il 2011 e il 2015 ha letteralmente bruciato ai tavoli da gioco quasi cinque milioni di euro appartenenti ai suoi clienti. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: le case da gioco hanno l’obbligo di controllare non solo il flusso del denaro, ma anche l’origine dei fondi impiegati dai loro clienti.
La vicenda ha inizio nel marzo 2015. Allora Vannini, disperato, si presentò alla Guardia di Finanza confessando di aver appena perso 70.000 euro e di aver truffato decine di clienti. Confessò una dipendenza patologica che lo aveva portato a dilapidare 9,6 milioni di euro, metà dei quali persi proprio al Casinò di Venezia. Mentre per il broker il processo penale si è concluso con una prescrizione, la vicenda amministrativa per il casinò è andata avanti.
Le Fiamme Gialle, sulla base della confessione di Vannini, segnalarono l’anomalia al Ministero delle Finanze. Com’era possibile che un uomo avesse potuto giocare cifre così enormi, pagando con assegni circolari provenienti da venti banche diverse, senza che nessuno si insospettisse? Per il Ministero, il casinò aveva violato le norme antiriciclaggio, e nel 2018 fece scattare la sanzione. La casa da gioco si è sempre opposta, sostenendo che i suoi obblighi si limitassero a verificare che il cliente giocasse effettivamente i soldi cambiati e non li riciclasse. Il Casinò ha sostenuto che Vannini andava lì per giocare, e questo era l’unico dato rilevante.
La Cassazione, con due diverse sentenze, ha smontato questa linea difensiva. Gli Ermellini hanno stabilito che i controlli sono stati insufficienti. L’operatore, scrivono i giudici, deve effettuare una “valutazione globale” del cliente. Deve chiedere informazioni sullo scopo delle sue giocate e, se necessario, “avere riguardo anche dell’origine dei fondi impiegati”. Il comportamento palesemente anomalo di Vannini, con il suo volume altissimo di giocate e l’uso di assegni da conti diversi, avrebbe dovuto “indurre il Casinò ad un adeguato approfondimento se non a una immediata segnalazione”.
La Suprema Corte ha respinto l’ultimo ricorso del Casinò il 21 ottobre, rendendo la sanzione definitiva. Sebbene l’importo esatto dovrà essere ricalcolato, forse leggermente al ribasso, dalla Corte d’Appello di Venezia, il principio è stato affermato. Una vittoria per lo Stato, ma un’amara consolazione per le settanta persone truffate, che non rivedranno mai i loro soldi






